LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO 
                           Sezione Civile 
 
    riunita  in  Camera  di  consiglio  nelle   persone   dei   sigg.
magistrati: 
        1) dott. Bruno de Filippis - Presidente, relatore; 
        2) dott.ssa Marcella Pizzillo - consigliere; 
        3) dott.ssa Sabrina Serrelli - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta  al  n.
1071/2016 V.G., promossa ex articoli 9 e 12-bis, legge  n.  898/1970,
da: 
        Ferrantino Teresa, rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Lucia
Vicinanza presso  il  cui  studio  e'  elettivamente  domiciliata  in
Salerno, C.so Vittorio Emanuele, trav. F. Patella, 10; ricorrente; 
        e Fondazione Enasarco, in persona  del  presidente  e  legale
rappresentante  Gianroberto  Costa,  rappresentata  e  difesa   dagli
avvocati  Maria  Salafia  e   Angelica   Porcini   ed   elettivamente
domiciliata presso lo studio di quest'ultimo  in  Salerno,  p.zza  A.
Conforti n. 9; 
        Ferrantino  Antonietta,  rappresentata  e  difesa   dall'avv.
Gaspare Salamone, presso il cui studio e'  elettivamente  domiciliata
in Salerno, via Luigi Guercio, n. 353; 
        Cella Ludovica; 
        INPS, 
    resistenti. 
 
                           Motivi di fatto 
 
    Con ricorso del 12 luglio 2019 Ferrantino Teresa, in qualita'  di
coniuge divorziato di Cella Antonio, chiedeva la determinazione della
quota di sua spettanza del  trattamento  di  fine  rapporto,  nonche'
della quota di pensione di reversibilita' a lei spettante. 
    Il Tribunale con decreto del 18 febbraio 2020 rigettava  entrambe
le richieste per la non titolarita', in  capo  alla  ricorrente,  del
momento della scomparsa del Cella, di un assegno di  divorzio.  Nella
fattispecie, infatti, il divorzio era stato pronunciato con  sentenza
parziale, con riserva di esaminare  nel  prosieguo  le  questioni  di
carattere economico e il relativo giudizio si era pero' concluso,  in
conseguenza della morte in corso  di  causa,  con  una  pronuncia  di
cessazione della materia del contendere,  non  impugnata  e  pertanto
divenuta irrevocabile. 
    Avverso tale provvedimento proponeva reclamo  Ferrantino  Teresa,
sostenendo che, per costante giurisprudenza di legittimita', la morte
di uno dei coniugi in pendenza del giudizio di separazione o divorzio
comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere e
che, pertanto, ella non poteva impugnare la conforme sentenza  emessa
dal Tribunale, impedendo che la stessa divenisse irrevocabile. In tal
modo la ricorrente contestava l'iter logico  seguito  dal  Tribunale,
secondo il quale  la  causa  doveva  invece  essere  interrotta,  con
conseguente riassunzione nei confronti degli eredi, proprio  al  fine
di evitare la perdita della reversibilita' e dell'indennita' di  fine
rapporto. 
    La  ricorrente  ricordava  che,  in  virtu'   dei   provvedimenti
provvisori in vigore fino alla scomparsa del Cella,  aveva  percepito
durante i cinque anni della causa l'assegno divorzile e invocava,  in
caso di  rigetto  della  sua  domanda,  la  violazione  dei  principi
costituzionali relativi al divieto di disparita' di trattamento. 
    Si costituiva ritualmente la Fondazione Enasarco affermando  che,
al momento della scomparsa del Cella, la Ferrantino non era  titolare
di un assegno di divorzio, con conseguente mancanza di  un  requisito
essenziale per la concessione di quanto richiesto. In ragione di cio'
chiedeva  il  rigetto  del  reclamo.  In  via  subordinata,  chiedeva
stabilirsi le quote  di  reversibilita'  spettanti  alle  parti,  con
condanna alle riduzione di  quanto  finora  percepito  da  parte  dei
percettori. 
 
                          Motivi di diritto 
 
    L'art. 9, comma 2, legge n. 898/1970, dispone  che  «In  caso  di
morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente  i
requisiti per la pensione di reversibilita', il coniuge  rispetto  al
quale e' stata pronunciata sentenza di scioglimento o  di  cessazione
degli effetti civili del matrimonio ha  diritto,  se  non  passato  a
nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai  sensi  dell'art.
5, alla pensione di reversibilita', sempre che  il  rapporto  da  cui
trae  origine  il  trattamento  pensionistico  sia   anteriore   alla
sentenza». 
    Con successiva norma di interpretazione autentica, il legislatore
ha specificato che «Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 9
della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni,  si
interpretano nel senso che  per  titolarita'  dell'assegno  ai  sensi
dell'art. 5 deve intendersi  l'avvenuto  riconoscimento  dell'assegno
medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto  art.  5  della
citata legge n. 898 del 1970» (art. 5, legge  28  dicembre  2005,  n.
263). 
    L'intervento chiarificatore  trae  origine  dalla  necessita'  di
dirimere  il  contrasto  sorto  nella  giurisprudenza  in  ordine  ai
presupporti della indicata fattispecie  legale.  In  particolare,  si
discuteva   se   fosse   indispensabile   la   concreta    previsione
dell'assegno, da parte  del  Tribunale,  ovvero  se  tale  situazione
potesse essere surrogata dall'esistenza, in astratto, dei presupposti
per l'attribuzione. 
    La tesi secondo cui l'assegno  dovesse  risultare  effettivamente
disposto e' sempre stata prevalente (Cfr.; Cassazione  5548/1995,  in
Dir. Fam. Pers., 1995, pag. 1436: «La formulazione chiara della nuova
disposizione consente  di  affermare  che  condizione  indispensabile
affinche'  il  coniuge  divorziato  possa  fruire   del   trattamento
pensionistico, sia l'effettiva titolarita' del diritto  all'assegno».
In senso conforme, si vedano anche Cassazione,  26  luglio  1993,  n.
8335, in Giust. Civ., 1994, pag. 2963 e Cassazione 8 gennaio 1997  n.
75, in Foro It., 1997, pag. 794. Si vedano  anche:  Cassazione,  sez.
unite, 12 gennaio 1998 n. 159,  in  Arch.  Civ.,  1998,  pag.  283  e
Cassazione, 10 ottobre 2003, n. 15148), ma  l'alternativa  ha  spesso
trovato spazio nella giurisprudenza della Corte di  cassazione  (Cfr.
Cassazione Cass. 10 settembre 1990 n. 9309, in Foro It.,  1991,  pag.
806 «In particolare occorre chiarire se l'espressione si riferisca ad
una titolarita' in astratto, ovvero ad una  titolarita'  in  concreto
della somministrazione dell'assegno, ed occorre altresi' spiegare  la
differenza di formulazione esistente tra l'art. 9,  ove  il  soggetto
creditore viene  indicato  con  l'espressione  generica  e  piuttosto
ambigua di "titolare di assegno  ai  sensi  dell'art.  5",  e  l'art.
9-bis, ove lo stesso soggetto viene indicato, con  una  piu'  precisa
puntualizzazione, come "colui  al  quale  e'  stato  riconosciuto  il
diritto". Per intendere il senso dell'espressione adoperata dall'art.
9 e spiegare quindi la diversita' di formulazione  rispetto  all'art.
9-bis, giova far riferimento ai lavori preparatori della nuova  legge
ed evidenziare che la relazione  al  senato,  commentando  l'art.  9,
adopera indifferentemente le espressioni  "titolare  dell'assegno  di
mantenimento"  e  "titolare   del   diritto   alla   somministrazione
dell'assegno". Da cio' e' agevole quindi desumere che le  espressioni
sono  equivalenti  e  si  riferiscono  entrambe  ad  una   situazione
astratta: "titolare di un diritto" e' infatti  non  soltanto  chi  di
quel diritto abbia gia' ottenuto il riconoscimento, ma anche chi  non
abbia ancora azionato il diritto di cui sia astrattamente  titolare».
Si veda anche: Cassazione 17 gennaio 2000 n. 457, «Il  Collegio,  nel
condividere in gran parte le argomentazioni delle sentenze 9309/90  e
9528/94 osserva che all'interpretazione data dalla sentenza impugnata
non osta la lettera della legge, posto che  la  parola  titolare  ben
puo' indicare una situazione di diritto che necessiti di accertamento
giudiziale» ed in quella della Corte dei conti (Si veda  la  sentenza
della Corte dei conti, sezioni riunite, del 16 novembre - 7  dicembre
2005, la quale supera e compone il contrasto:  «Un  primo  prevalente
indirizzo giurisprudenziale, che trova fondamento anche  in  sentenze
della Corte  costituzionale  ed  in  particolare  nella  sentenza  n.
777/88, afferma che solo la  titolarita'  effettiva  dell'assegno  di
divorzio fa nascere il diritto alla corresponsione della pensione  di
reversibilita' quando l'ex coniuge titolare  della  pensione  diretta
cessa di vivere. Detto indirizzo giurisprudenziale si fonda  sia  sul
tenore  letterale  della   norma   sia   sulla   considerazione   che
l'attribuzione  patrimoniale  ai  divorziato,   che   ha   acquistato
carattere di automaticita' a seguito della legge n. 74/1987,  non  e'
piu' subordinata alla condizione di uno stato di bisogno effettivo ma
realizza una garanzia di continuita' del sostentamento al superstite.
Altro  indirizzo  giurisprudenziale  ha  invece  fatto   ricorso   ad
un'interpretazione  estensiva   della   norma   affermando   che   e'
sufficiente per ottenere  il  trattamento  pensionistico  il  diritto
astratto all'assegno divorzile, diritto accertabile incidenter tantum
anche da parte del giudice delle pensioni. Detto indirizzo  si  fonda
sostanzialmente su ragioni equitative e di parita' di trattamento....
(omissis)..  P.Q.M.  dichiara  che  ai   fini   della   pensione   di
reversibilita'   all'ex   coniuge   divorziato   e'   necessaria   la
preesistenza di una  pronuncia  positiva  del  giudice  del  divorzio
almeno sul diritto all'assegno divorzile, ancorche' non  quantificato
o non effettivamente goduto..». 
    Nel 2005 il legislatore ha ritenuto di dover intervenire con  una
norma chiarificatrice, per risolvere  definitivamente  la  questione.
L'art. 5 della legge 28  dicembre  2005,  n.  263  ha  introdotto  la
seguente norma: «Le disposizioni di cui ai commi due e tre  dell'art.
9 della legge 1° settembre 1970, n. 898 e  successive  modificazioni,
si interpretano nel senso che per titolarita' dell'assegno  ai  sensi
dell'art. 5 deve intendersi  l'avvenuto  riconoscimento  dell'assegno
medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto  art.  5  della
citata legge n. 898 del 1970». In virtu' di  essa,  non  vi  e'  piu'
dubbio sul fatto che, per poter ottenere la pensione, il  diritto  al
godimento dell'assegno di divorzio deve  essere  stato  concretamente
affermato, con una pronuncia giudiziale, non essendo sufficiente  che
esso sia  astrattamente  possibile  o  rilevabile  incidenter  tantum
(Cfr.: Cassazione,  9  giugno  2011,  n.  12546:  «E'  manifestamente
infondata  la   questione   di   legittimita'   costituzionale,   per
contrarieta' con l'art. 3 Cost., dell'art. 5 della legge 28  dicembre
2005, n. 263, norma di interpretazione autentica  dell'art.  9  della
legge 6 marzo 1987, n. 74, e come tale retroattiva cd applicabile  ai
giudizi in corso - secondo cui il diritto del coniuge divorziato alla
pensione di reversibilita', o  ad  una  quota  di  essa  in  caso  di
concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il  richiedente
sia titolare, al momento della morte dell'ex coniuge, di  un  assegno
di divorzio, giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art.  5  della
legge predetta - sollevata per la sola  circostanza  che  le  variate
necessita' di vita, le quali in astratto avrebbero potuto  consentire
la modifica delle condizioni in caso di  mutamento  della  situazione
economica di uno degli ex coniugi, siano intervenute dopo decesso del
coniuge  gia'  titolare  in  vita  del   trattamento   pensionistico,
trattandosi di una ipotetica situazione di fatto atta a  determinare,
semmai, in caso  di  una  sua  autonoma  rilevanza,  un'irragionevole
condizione di miglior favore rispetto  a  quella  goduta  allorquando
l'ex coniuge era in vita».) 
    La giurisprudenza ha altresi' affermato che l'assegno deve essere
giudizialmente riconosciuto in modo formale e definitivo, (salva ogni
impugnabilita' o successiva possibilita' di revisione),  non  essendo
utili, ai fini in oggetto, determinazioni provvisorie in attesa della
decisione. (Si veda Cassazione, 11 aprile 2011, n.  8228:  «L'art.  5
della legge  8  dicembre  2005,  n.  263,  laddove  dispone  che  per
titolarita'  dell'assegno,  ai  sensi  dell'art.  9  della  legge  1°
dicembre 1970, n. 898, debba  intendersi  "l'avvenuto  riconoscimento
dell'assegno ... da parte del tribunale", va inteso  con  riferimento
non ad una qualunque attribuzione avente carattere provvisorio, ma al
riconoscimento definitivo del diritto  all'assegno;  non  e'  idonea,
pertanto, a fondare il  diritto  dell'ex  coniuge  alla  pensione  di
reversibilita' o ad una quota  della  stessa,  l'attribuzione  di  un
emolumento  mensile  a  carattere  provvisorio  in  quanto  essa  non
preclude  il  rigetto  della  domanda  di  assegno   divorzile,   ove
l'espletata istruttoria conduca ad escludere gli estremi per  il  suo
accoglimento». Nella parte motiva della predetta sentenza, si  legge:
«L'ordinanza con la quale e' stato attribuito un emolumento mensile a
carattere provvisorio  ed  e'  stata  disposta  la  prosecuzione  del
giudizio per la determinazione dell'assegno non costituisce giudicato
in ordine alla debenza dell'assegno e, quindi,  non  era  di  per  se
preclusiva del rigetto della domanda dell'assegno divorzile,  qualora
la espletata istruttoria avesse portato il Tribunale a  ritenere  che
non vi erano gli estremi per il  suo  riconoscimento.  Si  consideri,
inoltre, che la  morte  di  X  ha  determinato  la  interruzione  del
processo e se il giudice, come riferito dalla stessa  ricorrente,  ne
ha decretato l'estinzione, cio' significa che lo stesso non e'  stato
proseguito o riassunto, ai sensi dell'art. 305  codice  di  procedura
civile, entro il termine perentorio di sei mesi. L'art. 310 codice di
procedura civile, dispone, altresi', che l'estinzione del processo, a
meno che non si tratti di sentenze di merito  pronunciate  nel  corso
del  processo  o  di  pronunce  che  regolano  la  competenza,  rende
inefficaci gli atti compiuti». 
    I principi sin qui descritti sono stati ribaditi  dalla  sentenza
n. 4107 del 20 febbraio 2018, la quale, pur affermando che  l'assegno
di divorzio deve essere ritenuto esistente anche se vigente in  forza
di una pronuncia non ancora passata in giudicato, ha affermato (nella
parte  motiva):  «Invero,  la  legge  neppure  consente  di  ritenere
sufficiente   il   provvedimento   provvisorio   di    riconoscimento
dell'assegno divorzile concesso dal Presidente dei Tribunale in  sede
di comparizione delle parti. La  legge  richiede  una  pronuncia  dei
Tribunale non del suo Presidente  ed  appare  quindi  sufficiente  la
pronuncia della sentenza che definisce il primo grado del giudizio  e
riconosce il diritto all'assegno divorzile». La lettera della  legge,
dunque, stabilisce che il richiedente la pensione  di  reversibilita'
deve  essere  gia'  titolare  dell'assegno  divorzile  in  forza   di
provvedimento giurisdizionale, Quest'ultimo,  secondo  l'orientamento
da  ultimo  espresso  in  sede  nomofilattica,  deve  necessariamente
consistere in una sentenza,  anche  non  passata  in  giudicato,  che
attesti la concreta ed attuale  fruizione  di  una  somma  di  denaro
periodicamente  versata  all'ex  coniuge  come  contributo   al   suo
mantenimento. Analoga interpretazione vale per  l'art.  12-bis  della
legge  n.  898/1970,  posto  che   esso   richiede,   ai   fini   del
riconoscimento del  TFR,  il  medesimo  requisito  della  titolarita'
dell'assegno di divorzio. 
    Ove vi sia stata una sentenza di divorzio non definitiva, bisogna
distinguere il caso in  cui  l'assegno  sia  stato  disposto  con  la
pronuncia  e  sia  stata  rimessa   al   definitivo   la   sua   mera
quantificazione, dall'ipotesi in cui la decisione, sia  sull'an,  che
sul quantum dell'assegno, sia stata rinviata alla fase successiva. 
    Nella prima situazione, essendo  stato  riconosciuto  il  diritto
all'assegno ed essendo irrilevante, ai fini del riconoscimento  della
pensione, la misura di esso, la sussistenza  della  condizione  della
«titolarita' dell'assegno», dovra' essere affermata. 
    Nella seconda, l'accertamento  giudiziale  non  potra'  compiersi
dopo il decesso dell'obbligato,  vigendo  l'opposto  principio  della
cessazione della materia del contendere con riferimento  al  rapporto
di coniugio ed a tutti i profili economici connessi (Cfr. Cassazione,
ordinanza n. 26489/2017; Cassazione,  n.  18130/2013;  parz.  contra,
Cass., 8 luglio 1977, n. 3038 «Anche a proposito della morte  di  uno
dei coniugi nel corso del processo di divorzio, la giurisprudenza  di
questa Corte si muove nella scia di quella in tema di separazione  ed
afferma che lo scioglimento del vincolo che ne consegue  comporta  il
venir meno dell'oggetto del giudizio e la  cessazione  della  materia
del contendere. Ma trattasi, pure in questo caso, di affermazione che
non ha valore assoluto, dovendosi verificare,  caso  per  caso...  la
possibilita'  che  residuino,  nonostante  la   sopravvenuta   morte,
rapporti patrimoniali in ordine ai quali deve essere  portato  avanti
l'accertamento giudiziale». La  riassunzione,  ove  il  giudizio  sia
stato dichiarato interrotto, dovra'  essere  compiuta  nei  confronti
degli eredi). 
    Nel  caso  di  specie,  alla   ricorrente   residuava   il   solo
riconoscimento dell'assegno divorzile contenuto nell'ordinanza emessa
dal Presidente del Tribunale ex art. 4, comma 8, legge n. 898/1970. A
detto provvedimento, conformemente agli esposti principi di  diritto,
non viene attribuita valenza  alcuna  ai  fini  della  corresponsione
della  pensione   di   reversibilita'.   Tuttavia,   il   trattamento
pensionistico ex art.  9  della  legge  n.  898/1970  non  ha  natura
meramente previdenziale,  bensi'  assolve  la  precipua  funzione  di
assicurare all'ex coniuge la continuita' del  sostegno  economico  in
precedenza  garantitogli  mediante  il  pagamento   dell'assegno   di
divorzio (Corte cost., sentenza 20 ottobre 1999, n. 419). 
    Osserva la Corte che il legislatore, poiche' la materia  concerne
diritti fondamentali,  ha  inteso  disegnare  un  sistema  capace  di
tutelare gli stessi nel modo  piu'  completo,  per  proteggere  parti
giudizialmente ritenute economicamente deboli e percio'  vulnerabili.
Secondo il quadro delineato dalla legge, finche' non e' stata  emessa
una sentenza di divorzio, il coniuge economicamente  piu'  debole  e'
tutelato dall'esistenza del rapporto  di  coniugio,  che  si  protrae
durante il periodo di separazione e comporta relativi diritti in tema
di riconoscimento della pensione di reversibilita' e  dell'indennita'
di fine rapporto. Quando la sentenza viene  emessa,  la  tutela,  non
piu' garantita dallo stato di coniugio, viene assicurata dalle  norme
divorzili, che  equiparano  coniuge  ed  ex  coniuge  ai  fini  della
reversibilita' e  garantiscono  una  quota  dell'indennita'  di  fine
rapporto. 
    All'interno di tale sistema, la cui ratio, come si e'  detto,  e'
la tutela di diritti  fondamentali  di  soggetti  deboli,  vi  e'  un
vulnus, verosimilmente non  considerato  dal  legislatore,  anche  in
ragione del fatto che sono successivamente intervenute  modifiche  in
tema  di  sentenza  non  definitiva  di  divorzio,  che  riguarda  la
posizione di chi non e' piu' coniuge, perche' gia' divorziato, ma non
ha ancora visti regolamentati i suoi diritti definitivi  in  tema  di
assegno divorzile. 
    Vi e', per la figura indicata, una disparita' di trattamento  sia
con chi abbia gia' ottenuto un divorzio, sia con  chi  non  lo  abbia
ottenuto. Vi e' altresi'  disparita',  tra  chi  abbia  ottenuto  una
sentenza non passata in giudicato e, quindi, suscettibile  di  essere
travolta e chi abbia ottenuto un  mero  provvedimento  presidenziale,
disparita',  quest'ultima  processualmente  giustificabile   con   la
differenza tra provvedimento provvisorio  e  sentenza,  ma  possibile
fonte di ingiustizie sostanziali, come nel caso di specie, nel  quale
la parte aveva goduto dell'assegno, non solo durante  il  periodo  di
separazione, ma anche per quattro anni nel giudizio divorzile,  senza
che la controparte mai contestasse tale attribuzione. 
    Pertanto, l'art. 9, comma 2 della legge  n.  898/1970,  per  come
interpretato alla luce dell'art. 5 della legge n. 263/2005,  si  pone
in contrasto con l'art. 2 Cost. nella  misura  in  cui  subordina  la
citata funzione solidaristica della pensione di  reversibilita'  alla
sussistenza di presupposti meramente formali. 
    La  norma  de  qua  viola  altresi'  l'art.  3,  comma  2   della
Costituzione che sancisce il principio  fondamentale  di  uguaglianza
sostanziale, in quanto irragionevolmente preclude al destinatario  di
un assegno divorzile provvisorio l'accesso alla tutela  pensionistica
ex art. 9, comma 2, sebbene anch'egli beneficiario di  una  forma  di
contribuzione economica al pari dell'ex  coniuge  cui  l'assegno  sia
stato riconosciuto con sentenza. 
    Analoghe riserve di legittimita' costituzionale  vanno  formulate
in ordine al requisito della  titolarita'  dell'assegno  di  divorzio
richiesto dell'art. 12-bis, legge n. 898 ai fini  del  riconoscimento
del trattamento di fine rapporto in favore dell'ex coniuge.